martedì 17 aprile 2012

Palazzo Gamba

Palazzo Gamba è sede privata, mentre Palazzo Guiccioli, ora visibile solo in esterno, sarà presto restaurato e fruibile al pubblico.

Ci troviamo in via Salara, in questa via, di fronte a via Ponte Marino, sorgeva dal IX secolouna chiesa nota per il suo cenobio di Monache benedettine. Dedicata a Santa Maria in Coelos eo ("in coelos eo" vado in cielo) fu riedificata nel 1691 e demolita dopo il 1916. Ora se voltiamo a desta ci troveremo in via Gamba e la civico 3 troviamo il nostro palazzo. 





Fu costruito nel 1766 dall'architetto Andrea Zumaglini che gli diede le linee di un sobrio barocco. La facciata è movimentata da linee trasversali quali, cominciando dal basso, la zoccolatura, la linea leggera che unisce i davanzali delle finestre del pianterreno, la larga fascia fra il primo e il secondo piano da cui si levano riquadri leggermente aggettanti che raggiungono i davanzali del secondo piano e ritmano simmetricamente gli spazi; un'altra fascia leggera che marca l'ultimo piano collegando le finestrelle prive di davanzale ed infine il largo cornicione ricco di modanature.


Il portone, ad arco, è sormontato da uno stemma marmoreo dei conti Gamba e da un architrave, aggettante come tutte le finestre del pianterreno protette da grate di ferro e ornate da un davanzale su mensole di sasso e da cornici di gesso; quelle del primo piano terminano, in alto, alternativamente a timpano e a cimasa ricurva. La facciata, ad intonaco, è tinteggiata di colore chiaro che credo originale; pochissimi sono gli edifici antichi di Ravenna con tale tinteggiatura.


All'interno l'ampio atrio immette a destra nella scala, a sinistra nelle stanze del pianterreno e si apre, in fondo, sul giardino un tempo molto più vasto perché comprendeva l'area dell'attuale Albergo Bisanzio, arrivando fino a via Salara.


La famiglia Gamba, che fece costruire il palazzo, è ricordata per la prima volta in Ravenna nel XV secolo con Benedetto; nel XVII risulta aggregata alla nobiltà ravennate; nel 1665 aggiungeva al proprio cognome quello dei Ghiselli in seguito al matrimonio di Paolo con Olimpia Ghiselli di Bologna.


Giovanni Gamba, della Congregazione dei Chierici Regolari del Buon Gesù, fece innalzare in San Giovanni Battista la ricca cappella della Beata Vergine del Carmine, che servì anche da tomba gentilizia della famiglia.


Gran lustro essa ebbe nella seconda metà del Settecento, sia per le ricchezze che possedeva, sia per gli uffici coperti da vari suoi membri.


È da ricordare, in particolare, l'abate Ippolito Gamba Ghiselli (1724-1788) continuatore della Storia di Romagna del Carrari ed autore di molte opere di erudizione e di poesie rimaste per lo più manoscritte. Interessante la traduzione dal latino del poemetto di Marcello Pallonio sulla battaglia di Ravenna.






Personaggi vissuti in sito.






Il poeta George Gordon Byron era uno spirito libero e inquieto e nella primavera del 1819, presso il salotto della Contessa Benzoni a Venezia, conobbe Teresa Gamba, giovane rampolla di una famiglia patrizia di Ravenna. Teresa aveva 19 anni ed era stata data in moglie al conte Alessandro Guiccioli, di oltre quarant'anni più vecchio, anche lui ravennate. Tra Byron e Teresa nasce una forte attrazione sia fisica che spirituale e, il 9 giugno di quell'anno il poeta arriva per la prima volta a Ravenna, prendendo alloggio presso l'albergo Imperiale che sorgeva dove oggi c'è la moderna Biblioteca Alfredo Oriani (in via C. Ricci) a pochi metri dalla Tomba di Dante. Il Lord ritorna a Ravenna nell'inverno successivo e, a un veglione carnevalesco in casa del Conte Cavalli (via Salara) si presenta come "cavalier servente" della Contessina Teresa, in pratica l'amante ufficiale. La figura del "cavalier servente" era in auge già da secoli e accettata in pratica da tutti, marito compreso. Difatti è lo stesso Conte Guiccioli ad affittare a Byron il primo piano del suo Palazzo nell'odierna centralissima via Cavour. Byron vi entra accompagnato da ben sette domestici e da un vero e proprio zoo ambulante: nove cavalli, un bulldog, un mastino, due gatti, tre pavoni e un'oca che gli era stata regalata per il pranzo di Natale, ma che il poeta aveva risparmiato. Dopo poco, per un certo periodo di tempo, lo raggiunge l'amico Shelley. A Ravenna George Byron impiega il suo tempo scrivendo, cavalcando nella Pineta di Classe e nella Pineta di San Vitale, amoreggiando con Teresa, ma sopratutto trescando con suo fratello Pietro Gamba per un motivo che gli aveva acceso la fantasìa: la nascente setta dei Carbonari. Byron era un eccellente pistolero e di fatto diventa il maestro d'armi dei Cacciatori Americani, il gruppo carbonaro fondato a Ravenna da Pietro e che si radunava a far prove di tiro in pineta. Si avvicina infatti il 1821, anno in cui i Carbonari pensavano di sollevarela Penisolae scacciare i vari signori e potenti, con in testa il Papa. Ma i moti saranno un fallimento. Byron aveva fatto della cantina di Palazzo Guiccioli un arsenale e questo non piacque al vecchio Conte, che pensò bene di denunciare alle autorità l'ormai ingombrante ospite in cambio di un sostanzioso colpo di spugna sulle gravose tasse che l'erario papalino pretendeva in alternativa alla restituzione delle sue vecchie terre ai tempi di Napoleone. Nel novembre del 1821 Byron, Teresa e Pietro fuggono a Pisa e poi a Livorno; nel 1823 il Lord lascerà l’Italia sposando la causa della guerra in Grecia. In due anni di permanenza a Ravenna Byron partorì quattro grandi capolavori drammaturgici: Caino, Marin Faliero, Sardanapalo e I due Foscari, più alcuni brani del Don Giovanni, la Profezia di Dante e il Lamento del Tasso. Pressola Biblioteca Classensesono visibili alcuni cimeli della storia d’amore fra il poeta e la contessina, come lettere, ciocche di capelli...









GAMBA GHISELLI, Teresa. - Nacque a Ravenna dal conte Ruggero, patrizio ravennate, e da Amalia dei conti Macchirelli di Pesaro. È impossibile stabilire con esattezza la sua data di nascita: al tempo dei processi di separazione dal marito risultò Utile attribuirle solo 16 anni al momento del matrimonio, sicché i Gamba resero irreperibile il suo atto di battesimo. Tuttavia, basandosi sui dati concernenti i fratelli è possibile collocare la sua data di nascita tra gli ultimi mesi del 1799 e i primi del 1800. La famiglia, stabilitasi a Ravenna verso la metà del sec. XV, aveva espresso alcuni personaggi distintisi per cariche e cultura. Sia il nonno della G., Paolo (1744-1827), sia il padre (1770-1846) erano stati coinvolti nei moti giacobini, ricoprendo poi alte cariche napoleoniche e, in seguito, obbligati a lasciare Ravenna per lunghi periodi. Dei due fratelli maschi, Pietro (1800-27), acceso carbonaro, fu intimo di lord G. Byron e lo segui in Grecia dove mori, mentre Ippolito divenne un importante uomo politico. La G. ebbe anche cinque sorelle: Faustina, Vittoria, Olimpia, Giulia e Laura. La prima educazione le fu impartita nel collegio di S. Chiara a Faenza con criteri nuovissimi, che offrivano alle allieve una «educazione forte» simile a quella dei maschi: non è un caso che dalla stessa classe siano uscite due fra le donne più trasgressive del secolo, la G. stessa e Marianna Bacinetti di Ravenna, traduttrice di G.W. Schelling e discussa amica del re Luigi I di Baviera. Lasciato il collegio nel 1817, la sua istruzione fu completata sotto la guida del filologo Paolo Costa, che probabilmente contribuì a spingerla verso atteggiamenti di sensiblerie romantica e di ammirazione per i letterati. Sposata il 7 marzo 1818 al conte Alessandro Guiccioli - ricco libertino ultrasessantenne, due volte vedovo e padre di numerosi figli - la G. trascorse con il marito l’inverno 1818-19 a Venezia, dove Byron, poeta già di gran fama, si trovava da qualche mese, presso palazzo Mocenigo da lui preso in affitto. Egli fu presentato alla G. nel non troppo formale salotto della contessa Marina Querini Benzone: fu un vero colpo di fulmine per entrambi. Quando il conte Guiccioli lasciò Venezia con la moglie il 7 giugno 1819 per visitare i suoi beni a Isola d’Ariano e poi proseguire per Ravenna, gli amanti si scambiarono lettere ardenti (la prima delle 149 lettere di Byron alla G. è del 22 apr. 1819); durante il primo giorno di viaggio ella svenne tre volte e a Ravenna, caduta malata, supplicò il poeta di raggiungerla. Sebbene riluttante, questi lasciò Venezia e giunse a Ravenna il 16 giugno; trovò la G. gravemente provata, ne fu molto impressionato e fece giungere da Venezia l’allora famoso medico F. Aglietti. La G. si riprendeva lentamente: Byron arrivò a proporle di fuggire con lui, mentre ella fantasticava su un suicidio simulato alla maniera di Giulietta. Quando la G. e il marito partirono per Bologna, dove il conte possedeva molti beni (fra cui il palazzo Savioli), Byron - che, sebbene imbarazzato, era entrato in familiarità con il Guiccioli - acconsenti a seguirli prendendo alloggio all’albergo del Pellegrino. Quando il conte dovette poi rientrare d’urgenza a Ravenna e lasciare la moglie non completamente ristabilita a Bologna, affidò a Byron l’incarico di ricondurla a Ravenna. Questi e la G., invece, mossero verso Venezia e presero stanza nella villa Foscarini a La Mira, ove iniziarono una breve convivenza costretti a vita ritiratissima dalla disapprovazione della pur tollerante società veneziana. Verso la fine di ottobre 1819 il Guiccioli si presentò di persona a Venezia. Dopo una vivace spiegazione fra coniugi (il conte era un temperamento violento, e vi era stata persino qualche diceria che avesse ucciso la sua ricchissima prima moglie, Placidia Zinanni), la G. si piegò a tornare sotto il tetto coniugale. Byron passò un periodo di grande agitazione, programmando lunghi viaggi: stava per partire per !’Inghilterra quando fu fermato da una malattia della figlia naturale Allegra (che aveva allora 5 anni), da lui posta per educazione in un collegio di monache a Bagnacavallo (presso Ravenna), nonché da un attacco di malaria. Fu raggiunto da molte lettere della G. che lo supplicava di raggiungerla: egli, dopo aver affidato alla sorte la decisione, a Natale era già a Ravenna. Qui fu ospitato nel lussuoso appartamento al pian terreno del palazzo Guiccioli che aveva preso in affitto e vi condusse la sua consueta vita stravagante. Si legò allora di grande amicizia con Pietro, fratello della G., noto per la sua appassionata adesione alle idee liberali; fu lui, insieme con la contessa, ad avvicinarlo alla causa e alla cultura italiane (fu in quel periodo che il poeta compose numerose opere di argomento italiano, fra cui, ispirata personalmente dalla G., La profezia di Dante), fino a spingerlo a iscriversi alla carboneria, cui fornì notevoli aiuti in denaro e armi. Insomma divenne inviso al governo, pur essendo intoccabile grazie alla sua qualità di lord inglese. La G., nonostante il parere contrario dell’amante, venne ai ferri corti col marito, il quale il 12 luglio 1820 ottenne un rescritto papale che autorizzava la separazione per colpa di lei, con l’obbligo per la contessa di risiedere in convento o sotto il tetto paterno. Ella dapprima si ritirò nella villa Gamba di Filetto, presso Ravenna, dove Byron «rode to see her only once or twice a month». Nel gennaio 1821 però ella era di nuovo a Ravenna, che abbandonò poi definitivamente per sfuggire alle minacce del marito, raggiungendo il padre a Firenze dove - insieme con suo figlio Ippolito, gravemente coinvolti nei moti del 1821 - avevano dovuto esulare. Byron, nella speranza di riuscire a farla tornare, rimase a Ravenna, dove fu raggiunto da P.B. Shelley. Infine, pressato da lei, decise di partire per Pisa, ove frattanto i Gamba si erano trasferiti, prendendo alloggio a palazzo Lanfranchi, di cui gli stessi Gamba occupavano un’altra ala. Qui la G. visse con il poeta quasi more uxorio, in grande in intimità con Percy e Mary Shelley, fino al marzo 1822 quando, a causa di una rissa di strada in cui un domestico del Byron pugnalò un ussaro coinvolgendo anche Pietro Gamba, l’intera comitiva preferì allontanarsi, trascorrendo i mesi estivi nella villa Dupuy a Montenero, presso Livorno; lì però, in un’altra baruffa fra servitori, Pietro Gamba fu ferito, e il governo toscano, che ne aveva abbastanza di questi turbolenti forestieri, li obbligò a partire. Ripararono dunque nella villa Saluzzo ad Albaro, presso Genova: in quel periodo Byron e la G. furono colpiti dalla morte della piccola Allegra il 20 apro 1822 e, poco dopo, da quella tragica dello Shelley (8 luglio). Nel frattempo il rapporto fra i due aveva cominciato a dare segni di logoramento: il poeta, per il quale quell’amore costituiva il più durevole che la sua incostante affettività gli avesse consentito, aveva incominciato a vagheggiare l’impresa di Grecia, suggestionato dal comitato che si formò a Londra nel 1823. Non ci mise molto a completare dispendiosi preparativi, dei quali la G. fu informata il più tardi possibile: ella reagì con disperazione e chiese inutilmente di far parte della spedizione. Byron salpò la mattina del 15 luglio 1823: la notte precedente gli addii erano stati strazianti, e fu l’ultima volta che la G. lo vide, anche se ebbe continue notizie, sia da lui sia, soprattutto, dal fratello Pietro, che fu uno dei componenti del gruppo (riportò lui in Inghilterra le ceneri del Byron). L’ultima lettera del poeta alla G. porta la data del 17 marzo 1824. Egli mori il 19 aprile, ed ella ne ebbe notizia a Bologna, dove si trovava con uno dei figliastri che vi si era stabilito per motivi di studio. Poco prima, sempre nel 1824, aveva ottenuto l’annullamento della sua separazione per colpa e, nel luglio 1826, dopo un breve disastroso esperimento di riconciliazione col marito, ebbe la meglio in un nuovo processo di separazione per incompatibilità, ottenendo una lauta pensione che le permise una vita agiata e la possibilità di viaggiare. Nel 1826 la G. era a Roma, dove durante il capodanno 1827 incontrò a un ballo in casa Torlonia Alphonse de Lamartine, con cui ebbe una relazione, come poi con alcuni altri, tutti giovanissimi, quali Henry Edward Fox, lord Holland a Napoli e lord Fitzharris Games Howard Harris, successivamente terzo conte di Malmesbury), che portò con sé a Filetto. Nel 1832 decise d’intraprendere il lungamente desiderato pellegrinaggio in Inghilterra, e in primavera visitò la tomba di Byron a Hucknell Torkard. Nel 1840 il conte Guiccioli mori a Venezia, ed ella ebbe con i figliastri una controversia giudiziaria, che si concluse con ulteriori vantaggi economici. Da tempo aveva conosciuto Hilaire-Octave Rouillé marchese di Boissy, ricchissimo ed eccentrico pari di Francia e senatore, il quale s’innamorò di lei, le fece visita a Filetto, la segui a Firenze e a Roma, e finalmente la sposò il 15 dic. 1847 nella cappella del Lussemburgo a Parigi. La coppia si installò nel grandioso palazzo al n. 95 di rue St.-Lazare, dove la G. tenne uno dei salotti letterari più frequentati della città. Ella occupò cosi un posto di rilievo nella società parigina sia per il suo spirito, sia per la curiosità suscitata dal suo passato. Adorava la vita mondana, e fino al 1870 soleva comparire ogni sera in qualche salotto, sempre accompagnata da un servo carico di coperte, mantelli, pellicce e cappucci: aveva forse appreso dal Byron l’arte delle stravaganze esibizionistiche. Arrivava a interrompere bruscamente le conversazioni per chiedere musica, e pare che organizzasse sedute spiritiche per evocare l’antico amante. La G., rimasta nuovamente vedova nel 1866, si ritirò in una villa acquistata per lei dal Boissy a Settimello di Calenzano presso Firenze, dove mori il 27 marzo 1873. Ella lasciò questa villa - con tutti i suoi preziosi carteggi, ritratti e memorie - al pronipote ex fratre Carlo, che aveva allora due anni e mezzo. Nell’archivio, oltre le 149 lettere autografe di Byron raccolte in contenitori con annotazioni della G. (tutte in italiano, meno 17 - spedite dalla Grecia nel 1823-24 - che sono in inglese), sono conservate le corrispondenze con molti altri illustri personaggi, l’originale delle sue memorie, infinitamente più completo e sincero della versione (Lord Byronjugé par les témoins de sa vie) pubblicata a Parigi nel 1868, e le carte relative alla seconda separazione dal marito (1826) e alla successione di lui (1840). Era di una bellezza bionda poco italiana, forse non molto slanciata, almeno secondo Stendhal, che riferisce più volte di lei in modo non lusinghiero - come del resto, ancor più negativamente, lo Chateaubriand - nelle sue corrispondenze: «elle est une grosse bionde portant dans la rue des tetons blancs étalés, et des souliers de satin rouge; du reste très fraiche et de 23 ans» (da Milano, 30 ag. 1820). La G. ebbe qualche velleità letteraria: durante un soggiorno a Roma venne iscritta all’Accademia Tiberina, e presentò un canne Alla tomba di Shelley in Roma, che fu pubblicato nell’introvabile strenna bolognese La Ghirlanda nel 1841. Nello stesso anno pubblicò a Ravenna un poemetto in terzine per le nozze del fratello Ippolito con Camilla dei marchesi Guerrieri Gonzaga di Mantova, in cui celebrava i fasti e le belleZ2e dei luoghi nativi della sposa; fece una traduzione in versi dall’inglese, La caduta di Sennacheribbe, melodia ebraica per musica del Byron; e fece stampare (s.n.t., ma Ravenna 1844) un’altra composizione poetica d’occasione, Al conte Giuseppe Pasolini di Ravenna nel di lietissimo delle sue nozze. Il suo maggiore impegno letterario fu un’opera apologetica sul Byron, tesa a confutare le numerose pubblicazioni più o meno denigratorie apparse in tutta Europa, ma specialmente la Vie de Byron del suo ex amico Lamartine, apparsa in diverse puntate sul Constitutionnel, dal settembre al dicembre 1865. Si tratta di Lord Byron jugé par les témoins de sa vie, in due ponderosi volumi pubblicati a Parigi nel 1868, e l’anno seguente a Londra in inglese, sempre in due volumi, e in due successive edizioni, col titolo My recollections of lord Byron, and those of eye-witnesses of his life. Si tratta di un’opera priva di pregi letterari, disorganica, a tesi, piena di omissioni e di allusioni, ma resta un documento della massima importanza per gli studi byroniani, fonte di notizie, rievocazioni e impressioni di prima mano. Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Sacra Rota, uditore Bonini, 1841-43, Summarium 3839; Summ. additionale 3998; Roma, Keats-Shelley memorial Library (tre scatoloni di documenti byroniani, donazione di H.N. Gay, fra cui copie di materiali degli Archivi di Stato di Bologna, Firenze, Pisa, Lucca, Livorno.

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