martedì 17 aprile 2012

Colonne Veneziane


Le due colonne furono erette dai veneziani nel 1483 con il basamento a gradoni scolpiti da Pietro Lombardo (padre di Tullio, autore della statua del Guidarello).
Fonte, la stessa iscrizione: OPUS PETRI LOMBARDI 1483. I bassorilievi recano disegni ornamentali, di cui particolarmente  fini sono quelli del gradone di mezzo, e i 12 segni dello zodiaco nel gradone superiore della colonna nord. Nel riquadro che si trova sotto la data 1483 di questa colonna e riprodotto il Colosso di Ercole Orario, chiamato dai ravennati Conchincollo. Era una grande statua che si trovava presso la basilica romana di Ercole. Rappresentava il semidio con un ginocchio a terra che sosteneva sul capo un quadrante sotto forma di semisfera incavata sopra la quale era lo stilo da cui si dipartivano le linee orarie. Si trattava di un orologio solare e lunare. La statua crollo e si spezzò nel 1591 a causa di un terremoto e alcuni marmi del basamento furono utilizzati per la base della colonna ora in piazza dell‘Aquila, mentre la statua in pezzi fu donata ad un architetto i cui eredi la disfecero per altri usi. Un piede della statua è conservato al Museo Nazionale.
Sulle due colonne in origine furono le statue di Sant’Apollinare (a nord), e del Leone di San Marco (a sud). Il leone fu tolto nel 1509 alla fine del dominio veneziano. Nel 1644, la statua di Sant’Apollinare fu spostata sulla colonna sud, ed in quella a nord fu posta una statua di San Vitale, opera di Clemente Molli. Su quest’ultima colonna fu incisa, nel 1793, una meridiana. Oggi giorno le colonne sono recintate da un recente cancello in ferro, per tutelarlo dall’usura. Prima infatti, sui gradoni delle basi si sedevano parecchi turisti e giovani ravennati.

Approfondimenti:
IL TEMPO A RAVENNA
di Franco Gabici
Gli orologi solari appartengono all'era del silenzio. Soppiantati dai congegni meccanici, che dando una voce al tempo regalavano anche l'illusione di poterlo in qualche modo dominare, sono oggi considerati reperti di un passato che non ritorna, romantici strumenti che scandivano un tempo fatto di ritmi senza fretta.
L'ombra scivolava lenta e silenziosa sul quadrante come una carezza leggera, e sembrava quasi che il tempo scorresse senza ferire. Ma anche quell'ombra impalpabile che ci poneva di fronte allo scorrere degli eventi costituiva già il primo segno di un complesso rapporto col tempo, che da categoria astratta si trasformava in qualcosa di concreto che coinvolgeva direttamente la nostra quotidianità. Dietro alla poesia dell'ombra, dunque, erano in nuce i malesseri dell'epoca moderna, che ha soppiantato gli orologi solari a favore di altri congegni che misurano il tempo e le nostre frette.
Probabilmente il primo a intuire qualcosa di fastidioso dietro alla poesia degli orologi solari è stato un romagnolo, il commediografo e scrittore Tito Maccio Plauto, che mise in bocca a un suo personaggio una significativa invettiva contro il tempo. Il soldato, infatti, si scaglia contro l'orologio solare installato a Roma considerandolo un pericoloso “cavallo di Troia” che sarebbe penetrato subdolamente nella sua vita, tiranneggiandolo e rendendolo schiavo. Tutto questo accadeva nel II secolo a.C., ma l'invettiva del soldato romano ha la attualità del presente:
Che gli dei smascherino il primo
che ha inventato la divisione delle ore,
il primo che ha messo in questa città un orologio solare.
Per nostra sfortuna, ci ha tagliato il giorno a fette.
Durante la mia infanzia non esistevano
orologi all'infuori della mia pancia.
Era per me l'orologio migliore, il più esatto;
quando si faceva sentire, si mangiava,
a meno che non ci fosse niente da mangiare.
Adesso, anche se c'è abbondanza di cibo,
si mangia solo quando piace al Sole.
La città è piena di orologi solari,
ma quasi tutti gli abitanti si trascinano
mezzi morti di fame.
Se il soldato di Plauto non vedeva di buon occhio l'orologio solare, altri si misero invece a costruirne perché, d'accordo, il tempo è tiranno, ma la sua misura resta pur sempre una necessità.
A Ravenna esistono pochi esempi di orologi solari, quasi tutti risalenti a tempi recenti. Un solo frammento marmoreo, del I secolo, testimonia l'esistenza in città di uno spettacolare orologio solare, l'Ercole orario (o Conchincollo come lo chiamavano i ravennati), del quale resta oggi solamente un frammento (un piede e parte della gamba)conservato al Museo Nazionale. Si trattava di un complesso di circa cinque metri di altezza raffigurante un Ercole inginocchiato che reggeva sulla spalla una conchiglia all'interno della quale era disegnato un quadrante solare. La statua, voluta dall'imperatore Tiberio Claudio Germanico, ebbe diverse vicende e trovò definitiva sistemazione nel Foro Asinario (attuale Piazzetta dell'Aquila), fino a quando il 18 giugno 1591 un terremoto non la mandò in frantumi. Si diceva che l'Ercole orario segnasse anche le ore durante le notti di luna, ma uno studio accurato del monumento ha portato a escludere questa possibilità.
Per trovare altri segni di orologi solari occorre arrivare al VI secolo quando Boezio, alla corte di Teodorico, fabbricò un orologio solare e uno ad acqua per volere del re goto. Gli orologi, come scrive Cassiodoro, sarebbero stati regalati a Gondebaldo III, re di Borgogna.
Alla fine dell'anno Mille è arcivescovo di Ravenna il geniale monaco francese Gerberto di Aurillac, i cui interessi scientifici lo portarono a costruire anche orologi solari. Si ha notizia che nel 998 Gerberto costruisse un orologio solare per l'imperatore Ottone III utilizzando l'osservazione della stella polare per mezzo di un tubo senza lenti, procedimento forse nuovo a quei tempi:
A finibibus suis expulsus, Ottonem petiit imperatorem et cum eo diu conversatur in Magdeburg, horologium fecit, considerata per fistulam quadam stella nautarum duce.
La realizzazione del primo orologio meccanico pubblico ravennate si deve ai Polentani, che governarono la città per molti anni adottando tutto ciò che avrebbe potuto metterla all'avanguardia. Secondo il Bernicoli è assai probabile che Guido da Polenta rimanesse colpito dall'orologio meccanico di Bologna in occasione di una sua visita alla città insieme all'arcivescovo Pileo. Non è da escludere che si trattasse dell'orologio realizzato dal Dondi e inaugurato il 19 maggio 1356.
Prima di questa data non esistevano a Ravenna orologi meccanici, come può dedursi da una relazione del cardinale Anglico nella quale sono registrate le spese per il custode dell'orologio di Faenza, Forlì e Cesena. Per Ravenna, dunque, non è prevista la spesa per il custode dell'orologio, a dimostrazione che in città non esistono orologi meccanici.
Ci fu anche una colletta (o tassa speciale) per la costruzione di un orologio che fruttò 335 lire, 10 soldi e 6 denari. Una bella somma per quei tempi in cui, ricorda Bernicoli, con 20 lire si poteva acquistare un bue. La tassa, inoltre, risultò “obbedientemente pagata”, a dimostrazione che i ravennati tenevano moltissimo ad avere a disposizione una macchina per misurare il tempo.
Anche in età veneziana esisteva un orologio pubblico, come attesta un documento del 17 settembre 1462 dove si fa menzione del “cortile dell'orologio”.
Altri documenti dal 1396 al 1405 ricordano spesso “Rigono del fu Dino dei Cattani di Bagnacavallo”, abitante a Ravenna, e ricordato come Magister Rigo a relogio.
Il 7 marzo del 1510 il Maggior Consiglio affida ad Anastasio Cellini la costruzione di un nuovo orologio da sistemare nella facciata di San Sebastiano e San Marco, una chiesa che risale al XV secolo e la cui facciata fu ristrutturata da Camillo Morigia nel 1785 su incarico del cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga.
Installato per “demostrare le hore de hora in hora iustamente”, l'orologio avrebbe sbalordito i ravennati perché non si trattava di un semplice meccanismo per segnare le ore. Esisteva anche un quadrante per indicare i giorni e un cerchio con lo Zodiaco azionato da un meccanismo che avrebbe indicato il giorno, il mese e il “segno zodiacale” corrispondente. Un altro “circolo” indicava invece le eclissi di Sole e di Luna. Completava il tutto la raffigurazione di alcune stelle fisse disegnate da Luca Longhi, che per questo lavoro percepì 6 scudi d'oro. Sull'orologio era possibile leggere anche il numero d'oro, l'epatta e la lettera domenicale.
Prima di ogni ora, una statuetta di Sant'Apollinare usciva da una nicchia e benediceva quanti stavano ad osservarlo.
Sotto al quadrante, in una nicchia, fu collocato una “Madonna col Bambino”, un bassorilievo che ben presto i ravennati chiamarono la “Madonna dell'Orologio”.
L'orologio, però, non fu pienamente realizzato in tutte le sue parti e in un documento è ricordato che Cellini nel 1512 ancora non aveva completato lo Zodiaco. Sul quadrante, in sasso d'Istria, sono incise le 24 ore del giorno. Il quadrante, diviso in due parti, è visibile ancora oggi nel cortile pensile del Palazzo della Provincia, allora palazzo Cristino Rasponi, dove fu trasferito nel 1784 dopo la demolizione della facciata e della torre della chiesa.
L'orologio, pur passando attraverso diversi restauri, funzionò fino al 1726, quando Cornelio Bentivoglio fece costruire un nuovo orologio al quale applicò il meccanismo del pendolo.
Col tempo lo stato della facciata e il conseguente restauro del Morigia portò al rinnovo dell'orologio, che nel 1784 venne collocato sulla torretta della facciata, e dunque in una posizione più alta rispetto agli altri che in precedenza erano stati sistemati sulla facciata.
a costruzione del nuovo orologio è affidata al bolognese Cristino Fornasini, mentre l'armatura di ferro per sorreggere le campane è opera del ravennate Francesco Garavini. Le campane furono fuse da Carlo Ruffini di Reggio, che in precedenza aveva fuso le campane di San Domenico. Il nuovo quadrante è illuminato a gas e viene inaugurato il 23 giugno 1884, ma la nuova macchina non soddisfa i ravennati. Le “frecce”, infatti, sono troppo sottili e ad una certa distanza è praticamente impossibile leggere l'ora. L'orologio, inoltre, suona troppo in fretta rispetto a quello vecchio e dal momento che funziona male il cronista suggerisce al Comune di non pagare chi ha installato l'orologio.
I ravennati, purtroppo, sembrano abituati al cattivo funzionamento dell'orologio pubblico e già nella seconda metà dell'Ottocento il Ravennate denuncia le sfere ferme anche per più di un giorno, provocando non pochi disagi: “Il vedere le sfere fermate per più d'un giorno, non solo, ma soggetto bensì nella stagione invernale a ritardare di non pochi minuti, ci porge occasione di dimostrare che un oggetto di tanta importanza viene trascurato o per parte del custode, o perché realmente guasto, ed in questo caso preghiamo chi spetta perché proveggasi a simile inconveniente”. Inoltre si auspica anche un orologio per vedere le ore anche di notte: “Preghiamo il Municipio d'attuare un orologio notturno, per discernere le ore in tempo di oscurità, come si è usato in molti paesi”.
In questo periodo il cardinale Chiarissimo Falconieri commissiona al ravennate Filippo Mazzotti la costruzione di un “grande orologio a scappamento ad àncora con una sola soneria per le ore e li quarti costrutta sopra un nuovo sistema; con scampanio a due campane scoccato appena il mezzodì e la mezzanotte, e con un macchinismo per segnare i giorni del mese”. L'orologio sarà sistemato nella torretta del palazzo dell'Arcivescovado.
La meccanica, però, non avrebbe sostituito la poesia, e l'ombra delle gnomone riuscirà ancora a farsi strada anche in mezzo ai nuovi congegni, tant'è che il poetico “orologio solare” sembra essere ancora in grado di dare una mano ai moderni meccanismi i quali, per la verità, non sembrano ancora offrire garanzie di precisione. Meglio, dunque, fidarsi del Sole, come si deduce da queste considerazioni di un cronista che nel settembre del 1866 sottolineano i difetti del pubblico orologio meccanico: “L'orologio pubblico della nostra città, forse perché consunto dalla vecchiaia, sembra per sé incapace di segnare colla necessaria precisione il tempo. A questo difetto però si potrebbe in gran parte ovviare, quando il custode avesse qualche sicura norma onde tenerlo registrato a dovere; al che basterebbe una buona meridiana”.
Nella piazza davanti all'orologio la meridiana esiste già, disegnata dai veneziani sulla colonna nord della Piazza, “ma questa non può servire all'uopo, perché, secondo le osservazioni degli intelligenti, essa è difettosa”. E in effetti l'articolista invita i ravennati a verificare di persona il mal funzionamento della meridiana soprattutto nei quattro periodi principali dell'anno (i due solstizi e i due equinozi).
Si invita pertanto il Comune a provvedere alla soluzione di questo inconveniente “facendo correggere la vecchia meridiana, il che potrebbesi effettuare allorché si darà mano a stabilire l'altra colonna a perpendicolo sulla base, o meglio facendo tracciare un Orologio solare completo in qualche parte della pubblica piazza. In questo caso, ci sia concesso di esternare un altro voto; cioè che il nuovo Orologio solare venga costruito in modo da segnare mezzogiorno tanto a tempo vero, quanto a tempo medio, affinché, seguendo l'esempio di molte altre città, il pubblico Orologio meccanico venga registrato a tempo medio, e serva così di norma sicura per calcolare l'ora delle corse sulla ferrovia”.
Evidentemente il problema della misura esatta del tempo interessa tutta la città, e alcuni giorni dopo il problema ritorna ad essere trattato sulle colonne del Ravennate. Il restauro della meridiana della colonna comporterebbe non poche difficoltà e un notevole costo e pertanto si suggerisce di costruire una nuova meridiana in un luogo più opportuno che dia maggiori garanzie per il funzionamento dell'orologio meccanico: “Quindi a rendere la cosa più facile ed economica il sito più opportuno a tracciare una nuova meridiana sarebbe in una parte del muro ottagonale della chiesa del Suffragio, e precisamente su quella che guarda alla piazza sopra all'angolo di detta chiesa. In quella posizione s'avrebbero due vantaggi che certo non si presentano nella vecchia meridiana. Primo che in qualunque parte della piazza la nuova meridiana sarebbe da tutti veduta, essendo quello spazio, su cui sarebbe delineata, abbastanza grande per renderla ostensibile anche in grande distanza; secondo che sarebbe comodissima a colui il quale regola l'orologio comunale, perché nel punto di mezzo giorno senza perdere un minuto secondo non avrebbe che a guardare all'indice della meridiana per regolare il suddetto orologio”.
Il progetto della costruzione di un orologio solare sulla cupola del Suffragio non va però a buon fine, ma poco più di dieci anni dopo viene deliberata dal Consiglio comunale la costruzione di una meridiana a tempo medio di Roma e nell'agosto successivo la realizzazione viene affidata al ravennate Giovanni Zaffi Gardella: “Apprendiamo con piacere essere il nostro concittadino Giovanni Zaffi Gardella di delineare per commissione di questo Municipio della Meridiana a tempo medio di Roma nella Piazza Garibaldi”.
A Ravenna il tempo sembra non volerne sapere di rigare dritto, ed è sempre il Ravennate a denunciare un orologio che “segna e batte le ore a modo suo” e di fronte a questo mal funzionamento la gente non sa se prendersela con la macchina o con chi è addetto alla sua regolazione. Il mal funzionamento dell'orologio è notato da abbastanza tempo, se già i ravennati riuscirono a preparare anche una filastrocca per esprimere il loro disappunto:
È fermo? È guasto? Oppur l'hanno venduto?
Quel coso che dicevasi orologio
Perché non segna più? Non suona l'ore?
O se le suona, va da palo in frasca,
E sembra un vecchio ch'abbia il mal umore?
I ravennati n'han già pien la tasca
Vorriano aver nel dì precise l'ore
E pregano e pregano il Padre Eterno
Che mandi presto un buono aggiustatore
E il levi dal dormire il sonno eterno.
Conclude la filastrocca un'altra lamentela: il quadrante dell'orologio viene spento troppo presto, quando è ancora buio.
Nell'estate del 1899 il mal funzionamento dell'orologio pubblico sta diventando una caratteristica della città: “È tradizionale che l'orologio di piazza debba andar male anziché bene” e la constatazione è accompagnata dalla notizia che cinque o sei persone che si erano fidate dell'orologio pubblico persero il treno!
Anche la stazione ferroviaria ha il proprio orologio, ma all'inizio del Novecento si nota che fra l'orologio della stazione e quello della pubblica piazza c'è uno sfasamento di 8 minuti e la situazione è aggravata dal fatto che nessuno è in grado di stabilire quale dei due orologi debba essere considerato esatto.
Nemmeno il nuovo secolo porta bene all'orologio della piazza, che spegne il quadrante ancora troppo presto suscitando le lamentele dei ravennati, ma soprattutto “va bene come...il tempo e come questo corre capricciosamente avanti e indietro. Anche stamane esso ha messo in confusione tutti gli altri orologi e fatta perdere la pazienza alla gente. Difatti ieri sera l'orologio è corso avanti di non pochi minuti. Ne è venuta di conseguenza che stamattina molte persone ne rimanessero giustamente sorprese. Come è evidente, il fatto non è tanto piacevole e noi ci rivolgiamo senz'altro al Comune raccomandandogli di curare un po' meglio almeno...l'andamento dell'orologio di piazza”.
Tirato in ballo nella questione, scende in campo anche Augusto Baccarini, custode dell'orologio, “rilevando che quando l'orologio pubblico si faceva camminare di pari passo con quello della stazione ferroviaria, la gente diceva essere meglio farlo avanzare di 5 o 6 minuti; ora che precede di pochi minuti il suo collega ferroviario si dice che cammina troppo. E il signor Baccarini conchiude essere molto difficile accontentare tutti... specialmente quando si tratta di orologi”.
Sembra anche che il freddo influisca sul buon funzionamento dell'orologio della piazza, che nel febbraio del 1917 risulta addirittura essere inchiodato dal freddo.
È interessante ricordare che all'inizio del Novecento qualcuno tenti di sfruttare l'orologio meccanico a scopo pubblicitario. Nell'esposizione di Milano del 1906, infatti, la ditta ravennate “Dott.Pietro Martinetti” presenta un “orologio grammofonico réclame” di oltre un metro di diametro e provvisto di due trombe che diffondono tramite un grammofono messaggi pubblicitari. L'orologio réclame è formato da ben 2414 pezzi ed è sistemato su di una colonna di ferro battuto opera di Sante Mingazzi.
Le ultime vicissitudini dell'orologio pubblico risalgono al periodo dopo la Liberazione, quando venne ripristinato un orologio con quadrante in legno perché mancava il vetro. L'orologio, però, non batteva le ore e il particolare viene ricordato dal cronista di Romagna Proletaria che suggerisce anche la soluzione al problema: “Ora che la Società Elettrica Romagnola sta distribuendo la corrente elettrica a tutta la popolazione, non si potrebbe dare la corrente al piccolo motore che alimenta la suoneria dell'orologio?”.
Oggi il tempo a Ravenna è scandito da un rinnovato orologio sulla torretta del palazzo della Banca Nazionale del Lavoro, che col suo quadrante illuminato sembra un occhio che vigila attento sul tempo dei ravennati. Le ore sono segnate da rintocchi di una campana, mentre un suono diverso annuncia i quarti.
Oggi gli orologi moderni sono silenziosi e non esiste più il caratteristico tic tac. Il progresso sembra aver cancellato il rumore del tempo, che fila via liscia proprio come l'ombra dello gnomone che attraversa il quadrante di un orologio solare. Sembra, dunque, che il silenzio accomuni l'antico e il moderno suono. E il grande complesso gnomonico sulla parete del Planetario, inserito in una città dove il rumore del progresso costituisce una incancellabile realtà pulsante, vuole in fondo insegnare che esiste una lettura silenziosa del tempo. Anche il silenzio, dunque, può avere cittadinanza in mezzo ai frastuoni dell'oggi. E il silenzio induce alla riflessione sulla stretta connessione fra il tempo e i grandi cicli della natura. Il tempo, dunque, diventa la strada maestra per penetrare i misteri della natura. Tempo come conoscenza, ma anche come rispetto per quei meccanismi naturali che oggi l'uomo non sempre rispetta.

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