martedì 17 aprile 2012

Palazzo Cavalli


Il palazzo Cavalli è una costruzione del XVII secolo, di notevoli dimensioni, nella quale sono stati effetuati numerosi interventi detrattori nel primo novecento. Il portone d'ingresso è seguito da un'atrio, cui succedono un cortile, un secondo atrio e un piccolo giardino. Fra il 2 e il 13 Agosto del 1826 Giacomo Leopardi fu ospite della famiglia Cavalli, una delle più nobili dell'Emilia Romagna, per l'occasione visitò le antiche rovine ravennati. Il soggiorno del poeta è ricordato da una lapide sulla facciata.


Storia della famiglia Cavalli
Una facoltosa famiglia ravennate, i marchesi Cavalli, s'intreccia con la storia di Santa Maria Nuova.
Questa famiglia delle cui origini poco sappiamo, dal 1671 al 1802 divenne protagonista di primo piano nelle vicende della città di Ravenna.
I "Cavalli" figurano fra i grandi proprietari fondiari del ravennate anche se in questa zona, a quei tempi, era la Chiesa a possedere la maggior parte delle terre e a detenere la supremazia economica e politica. L'integrità del loro patrimonio è garantita dal quell'istituto che va sotto al nome di "maggiorascato" che riconosceva erede il primogenito o, in mancanza di figli, il parente maschile più prossimo dell'ultimo proprietario. Una conseguenza di questa legge era che i figli cadetti, maschi o femmine, venivano avviati spesso alla vita religiosa.
La nobiltà di questa famiglia risale solamente al 1710 quando i Cavalli vennero elevati al rango di Marchesi dal Papa, che consolidò i privilegi già loro concessi nel 1671, sul porto Candiano, costituendo così la Torre in feudo, dietro compenso di 500 scudi d'oro. Quando più tardi venne costruito mediante un'opera colossale, il nuovo Porto Corsini dal nome personale di Papa Clemente MI (Lorenzo Corsini), fu presentata istanza al Sommo Pontefice dal marchese Simone Ignazio Cavalli a titolo di indennizzo per la cessata attività del Porto Candiano, per riottenere l'investitura feudale della Torre dei nuovo porto, con gli stessi pesi, obblighi e vantaggi.
Accolta la domanda, i marchesi Cavalli ebbero i diritti della regalia (un balzello in denaro o in natura, che si riscuoteva dalle barche all'approdo) e dell'esenzione dei dazio.
Poterono inoltre contare sui consistenti utili derivati dall'esercizio di un'osteria, di una cantina e di un forno di loro proprietà che funzionavano nella zona dei porto allo scopo di rifornire le imbarcazioni dei viveri e di tutto il necessario.

Ad un certo punto sorsero grosse liti fra i Cavalli da una parte e la comunità locale con gli appaltatori dei dazi dall'altra. Le liti si prolungarono nel tempo senza definitive soluzioni fino all'avvento di Napoleone Bonaparte e della Repubblica Cisalpina.
In breve i Cavalli persero ogni prerogativa sul porto: fu loro vietata l'esazione della regalia, fu chiusa la loro osteria perché, perdendo l'esazione dei dazi, non potevano più competere con quella della Comunità; la guarnigione del Marchese fu sostituita da un nuovo presidio inviato da Ravenna.
Così caddero le liti pendenti e si chiuse la vicenda dei Cavalli sul Porto Corsini.
Ma il prestigio di questa famiglia, una delle più ricche e nobili della Romagna, imparentata con Clemente IX (Giulio Rospigliosi 1667 - 1669), non venne meno neanche dopo al tramonto di questa vicenda.

Infatti, come viene riferito in "Case e famiglie della vecchia Romagna" di Umberto Foschi, una sera del carnevale dei 1820 , il poeta inglese Giorgio Byron, invitato dai marchesi Cavalli, potè rivedere la sua Teresa Guiccioli, nobildonna ravennate, sposata da poco, di cui divenne l'amante.
Dichiarerà poi di essere rimasto stupefatto della magnificenza della festa, lui che era abituato agli splendori degli ambienti londinesi.
Sembra anche che il poeta venisse a trovare i marchesi a Santa Maria Nuova dove avevano una residenza di campagna. Inoltre, dal 2 al 13 agosto 1826, nel suo palazzo di Ravenna, Antonio Cavalli ospitò Giacomo Leopardi suo lontano parente.
Anch'egli si dilettava di poesia ed aveva tradotto le Elegie di Tibullo e di Properzio che il Leopardi avrebbe dovuto raccomandare all'editore Stella. Il figlio Vincenzo insegnò scienze fisiche al Collegio di Ravenna, erogando lo stipendio, che avrebbe dovuto percepire, all'acquisto di materiale scientifico per la sua scuola. Per i suoi meriti indiscussi, nel 1859 divenne il primo sindaco di Ravenna, dopo la caduta dei governo Pontificio.
Le famiglie possidenti di quell'epoca, oltre alla vita urbana del palazzo cittadino, conducevano saltuariamente una vita rurale, il cui presidio era costituito dal "Casino" di campagna per una residenza stagionale, a controllo e godimento delle loro proprietà terriere.
Nei libri storici dell'archivio parrocchiale della Chiesa di Santa Maria Nuova, è documentata la presenza del marchese Vincenzo Cavalli, già nel settembre del 1745.
Dieci anni dopo, la proprietà fondiaria dei Cavalli nel territorio di Bertinoro (Santa Maria Nuova) si aggirava intorno alle 127-128 toma ture. La presenza dei marchesi a Santa Maria Nuova si concluse con la vendita dei palazzo nel 1918, al conte Manzoni di Bologna; fu poi da questi ceduto al sig. Emilio Cagnato di Treviso a cui sono da ascrivere le demolizioni dei tramezzi al primo piano e la manomissione degli infissi, si da ricavare ampi spazi per l'essiccazione del tabacco. In questo periodo scomparvero anche il bosco ed il capanno da caccia. Il 30 dicembre 1928, la proprietà passò al sig. Renato Passardi, industriale forlivese residente a Milano. Dal 1962 il palazzo è di proprietà dei sig. Scarpellini Andrea (Midrèn), proveniente da Macerone di Cesena, che ne ha fatto la sua residenza abituale. Quanto riportato sopra, è una sintesi ricavata dal libro "Il caso Cavalli e le origini di Porto Corsini" di Giancarlo Bazzoni, con l'aggiunta delle notizie riportate dal testo "Santa Maria Nuova e la sua gente" ricavate dalle ricerche storiche di Umberto Foschi "Case e famiglie della vecchia Romagna".

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