lunedì 29 giugno 2015

La nascita di Borea il vento del Nord, e di tutto L'universo secondo i miti arcaici greci.

La nascita di Borea il vento del Nord, e di tutto L'universo secondo i miti arcaici greci.



 Eurinome, Dea di Tutte le Cose, emerse nuda dal Caos e non trovò nulla di solido per posarvi i piedi: divise allora il mare dal cielo e intrecciò sola una danza sulle onde. Sempre danzando si diresse verso sud e il vento che turbinava alle sue spalle le parve qualcosa di nuovo e di distinto; pensò dunque di iniziare con lui l’opera della creazione. Si voltò all’improvviso, afferrò codesto Vento del Nord e lo soffregò tra le mani: è così che si vide apparire il gran serpente Ofione. Eurinome danzò per scaldarsi, danzava con ritmo sempre più selvaggio finché Ofione, acceso di desiderio, avvolse nelle sue spire le membra della dea e a lei si accoppiò. Ora il Vento del Nord, detto anche Borea, è un vento fecondatore; spesso infatti le cavalle, accarezzate dal suo soffio, concepiscono puledri senza l’aiuto di uno stallone.

“In questo complesso religioso arcaico non vi erano né dèi né sacerdoti, ma soltanto una dea universale e le sue sacerdotesse; la donna infatti dominava l’uomo, sua vittima sgomenta. E poiché si pensava che la donna rimanesse incinta per le virtù fecondatrici del vento o per aver mangiato fagioli o inghiottito per caso un insetto, la paternità non veniva tenuta in nessun conto; la successione era matrilineare e si credeva che i serpenti fossero incarnazioni dei morti. Eurinome («vagante in ampi spazi») era l’appellativo della dea nella sua epifania lunare. Il suo nome sumerico era Iahu («divina colomba»), un epiteto che in seguito passò a Geova come Creatore. Fu infatti una colomba che Marduk tagliò simbolicamente in due durante le Feste babilonesi della Primavera, quando inaugurò il nuovo ordine del mondo."

E così anche Eurinome rimase incinta e subito essa, volando sul mare, prese la forma di una colomba per poi depositare l’Uovo Universale. Per ordine della dea, Ofione si arrotolò sette volte attorno all’uovo, finché questo si schiuse e ne uscirono tutte le cose esistenti, figlie di Eurinome: il sole, la luna, i pianeti, le stelle, la terra con i suoi monti, con i suoi fiumi, con i suoi alberi e con le erbe e le creature viventi.
Eurinome e Ofione si stabilirono sul Monte Olimpo, ma ben presto Ofione irritò la dea perché si vantava di essere il creatore dell’Universo. Eurinome allora lo colpì alla bocca con un calcio, gli spezzò tutti i denti e lo relegò nelle buie caverne sotterranee.


“Ofione, o Borea, è il serpente Demiurgo del mito ebraico ed egiziano, e nell’arte arcaica mediterranea la dea è sempre raffigurata col serpente al suo fianco. I Pelasgi autoctoni, che pare pretendessero d’essere nati dai denti di Ofione, furono forse, in origine, il popolo delle neolitiche «Terracotte Dipinte». Passarono dalla Palestina alla Grecia continentale verso il 3500 a.C. e gli antichi portatori della civiltà elladica, emigrati dall’Asia Minore attraverso le Cicladi, li trovarono insediati nel Peloponneso settecento anni dopo. Il termine «Pelasgi» venne poi usato in senso lato per indicare tutti gli abitanti pre-ellenici della Grecia. Secondo Euripide (citato da Strabone, V 2 4) i Pelasgi adottarono il nome di Danai quando Danao con le sue cinquanta figlie giunse ad Argo. Le critiche alla loro condotta licenziosa (Erodoto, VI 137) si riferiscono probabilmente all’usanza pre-ellenica delle orge erotiche. Nel passo citato più sopra, Strabone dice che coloro che vivevano nei pressi di Atene erano noti come Pelargi («cicogne»): forse questo uccello era il loro totem.”


La dea poi creò le sette potenze planetarie e mise a capo di ciascuna di esse un Titano e una Titanessa: Tia e Iperione al Sole; Febe e Atlante alla Luna; Dione e Crio al pianeta Marte; Meti e Ceo al pianeta Mercurio; Temi ed Eurimedonte al pianeta Giove; Teti e Oceano a Venere; Rea e Crono al pianeta Saturno.

“I Titani («signori») e le Titanesse ebbero i loro corrispondenti in certe divinità dell’antica astrologia babilonese e palestinese, preposte ai sette giorni della sacra settimana planetaria; e il loro culto fu forse introdotto in Grecia da una colonia cananea, o ittita, che si stabilì sull’istmo di Corinto nel secondo millennio prima di Cristo, oppure dagli antichi portatori della civiltà elladica. Ma quando il culto dei Titani fu abolito in Grecia e la settimana di sette giorni cessò di figurare nel calendario ufficiale, certi autori elevarono il numero di tali divinità a dodici, probabilmente per farlo corrispondere ai segni dello Zodiaco.

Esiodo, Apollodoro, Stefano di Bisanzio, Pausania e altri ci presentano gli elenchi dei loro nomi, tuttavia privi di fondamento. Nella mitologia babilonese gli dèi planetari che regolavano il succedersi dei giorni della settimana, e cioè Samas, Sin, Nergal, Bel, Beltis e Ninib, erano tutti maschi salvo Beltis, dea dell’amore. Invece nella settimana germanica, nella quale i Celti avevano imitato lo schema dei popoli del Mediterraneo orientale, la domenica, il martedì e il venerdì dipendevano da Titanesse, contrapposte ai Titani. A giudicare dal rango divino dei figli e delle figlie di Edo, in numero pari questi e quelle, e dal mito di Niobe, si può supporre che, quando questo schema religioso giunse dalla Palestina nella Grecia pre-ellenica, una Titanessa fosse accoppiata a ogni Titano, quasi a salvaguardare gli interessi della dea. In seguito il numero dei Titani fu ridotto da quattordici a un gruppo di sette d’ambo i sessi. Le potenze planetarie erano le seguenti: il Sole che presiedeva alla luce; la Luna che presiedeva agli incantesimi; Marte, alla crescita; Mercurio, alla saggezza; Giove, alla legge; Venere, all’amore; Saturno, alla pace. Gli astrologi greci dell’epoca classica seguirono lo schema dei Babilonesi e aggiudicarono i pianeti a Elio, Selene, Ares, Ermete (o Apollo). Zeus, Afrodite, Crono; dai loro equivalenti latini, citati più sopra, derivano i nomi dei giorni della settimana in Francia, Italia e Spagna.”


Il primo uomo fu Pelasgo, capostipite dei Pelasgi; egli emerse dal suolo d’Arcadia, subito seguìto da altri uomini ai quali Pelasgo insegnò come fabbricare capanne e come nutrirsi di ghiande e cucire tuniche di pelle di porco, simili a quelle che ancora indossa la gente del contado nell’Eubea e nella Focide.

“Infine, per usare un linguaggio mitico, Zeus divorò i Titani, incluso se stesso nella sua forma più antica; gli Ebrei di Gerusalemme infatti veneravano un Dio trascendente, che racchiudeva in sé tutte le potenze planetarie della settimana: questa teoria è simboleggiata dal calendario dalle sette braccia e dai Sette Pilastri della Saggezza. Secondo Pausania (III 20 9) i sette pilastri “planetari che si ergevano presso la Tomba del Cavallo a Sparta erano ornati secondo un modo antiquato, e ciò si ricollegava forse a quei riti egiziani introdotti in Grecia dai Pelasgi (Erodoto Il 57). Non si sa se gli Ebrei abbiano preso a prestito questa teoria dagli Egiziani o viceversa; ma il cosiddetto Zeus eliopolitano di cui parla A. B. Cook nel suo Zeus, era egiziano nell’aspetto; la guaina che avvolgeva il suo corpo era adorna, nella parte anteriore, dei busti delle sette potenze planetarie e, nella parte posteriore, dei busti delle altre divinità olimpiche. Una statuetta bronzea di questo dio fu trovata a Tortosa in Spagna, un’altra a Biblo in Fenicia; su una stele marmorea di Marsiglia sono scolpiti sei busti di divinità planetarie e l’intera figura di Ermete, cui è data un’importanza maggiore, forse perché era ritenuto inventore dell’astronomia. Anche Giove, a Roma, fu proclamato dio trascendente da Quinto Valerio Sorano, benché a Roma la settimana non fosse venerata come a Marsiglia, a Biblo e (probabilmente) a Tortosa. In Grecia invece le potenze planetarie non prevalsero mai sul culto olimpico ufficiale, poiché venivano considerate non greche (Erodoto I 131) e dunque antipatriottiche.