mercoledì 8 febbraio 2012

Materiale della cittàm di dante e la sua tomba

La città ai tempi di Dante

La signoria ravennate.

Guido Novello da Polenta (1275 circa – 1333) fu un uomo politico e poeta ravennate.
Figlio di Ostasio e nipote di Guido il Vecchio, esercitò la funzione pubblica in diversi comuni cispadani, fino a diventare podestà di Ravenna dal 1316, succedendo al fratello Lamberto, al 1322, quando fu eletto capitano del popolo a Bologna e lasciò la signoria ravennate al fratello Rinaldo.[1] Nonostante gravi tensioni con Venezia, occasionate dal commercio del sale, la politica di Guido fu improntata alla ricerca della pace. Fu dedito alle arti e agli studi.
Fu autore di componimenti poetici (ne sono pervenuti sei, di sapore stilnovistico), anche se la sua fama è dovuta principalmente all'ospitalità che offrì a Dante Alighieri, trasferitosi a Ravenna dal 1318 alla morte 1321, anche a motivo dell'attrazione offerta dal cenacolo culturale che orbitava intorno a Guido.
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Dante e la tomba.

La nascita di Dante in Firenze viene indicata nel periodo compreso tra il 14 maggio e il 13 giugno del 1265 nell'importante famiglia degli Alighieri, legata alla corrente dei guelfi. Sposò Gemma, figlia di Messer Manetto Donati con matrimonio concordato all'età di vent'anni; ebbe tre figli: Jacopo, Pietro e Antonia. Quest’ultima divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice.
A Firenze ebbe una carriera politica di discreta importanza: dopo l'entrata in vigore dei regolamenti di Giano della Bella (1295), che escludevano l'antica nobiltà dalla politica permettendo ai ceti intermedi di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte, Dante si immatricolò all'Arte .dei Medici e Speziali.
Nonostante l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico Papa Bonifacio VIII, ostacolando il suo operato. Si recò dal Papa per cercare di trovare un compromesso, ma a Roma sviene trattenuto oltre misura da Bonifacio VIII e nel contempo a Firenze inizio una politica di sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte bianca ostili al papa, e che si risolse alla fine nella loro uccisione o nell'esilio. Con due condanne successive il poeta fu condannato, in contumacia, al rogo ed alla distruzione delle case. Dante fu raggiunto dal provvedimento di esilio a Roma e non rivide mai più Firenze.
Durante l'esilio, Dante fu ospite di diverse corti e famiglie della Romagna, fra cui gli Ordelaffi, signori ghibellini di Forlì, dove probabilmente si trovava quando l'imperatore Enrico VII di Lussemburgo entrò in Italia
Dante terminò le sue peregrinazioni a Ravenna, dove trovò asilo presso la corte di Guido Novello da Polenta, signore della città.
Morì a Ravenna il 14 settembre 1321 di ritorno da un'ambasceria a Venezia. Passando dalle paludose Valli di Comacchio contrasse la malaria.
Venezia era all'epoca in attrito con Ravenna ed in alleanza con Forlì: gli storici pensano che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico degli Ordelaffi, signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una via per comporre le divergenze.
I funerali, in pompa magna, vennero officiati nella chiesa di San Francesco a Ravenna, dove, sotto un portico laterale, venne posto il primo sarcofago del poeta. Intorno al sarcofago nel 1483 venne costruita una cella, su progetto dello scultore Pietro Lombardo; nel 1780 Camillo Morigia, su incarico del cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga, progettò il tempietto neoclassico tuttora visibile. Per sottrarre i resti del poeta a un possibile trafugamento da parte dei fiorentini, i Francescani tolsero le ossa dal sepolcro, nascondendole dietro a una porta murata nel convento; questo episodio fece nascere la leggenda che la tomba fosse in realtà un cenotafio, ossia una tomba vuota. Le ossa furono rinvenute casualmente da un muratore durante i lavori di restauro del 1865, condotti in occasione del VI centenario della nascita di Dante, e quindi riportate all'interno del tempietto del Morigia.
Nel sepolcro di Dante, sotto un piccolo altare si trova l'epigrafe in versi latini dettati da Bernardo da Canaccio nel 1366:
(LA)
« IVRA MONARCHIE SVPEROS PHLAEGETONTA LACVSQVE LUSTRANDO CECINI FATA VOLVERVNT QVOVSQVE SED QVIA PARS CESSIT MELIORIBVS HOSPITA CASTRIS ACTOREMQVE SVVM PETIIT FELICIOR ASTRIS HIC CLAVDOR DANTES PATRIS EXTORRIS ABORIS QVIA GENVIT PARVI FLORENTIA MATRIS AMORIS. » (IT)
« I diritti della monarchia, i cieli e le acque di Flegetonte (gli inferi) visitando cantai finché volsero i miei destini mortali. Poiché però la mia anima andò ospite in luoghi migliori, ed ancor più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sto racchiuso, (io) Dante, esule dalla patria terra, cui generò Firenze, madre di poco amore. »

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